lunedì 11 marzo 2013

The travel, Rassegna cinematografica 2013, CHivasso TO

L'università della Terza Età di Chivasso, l'associazione Arci Zeta, in collaborazione con AIACE Torino e con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Chivasso organizzano la rassegna cinematografica dal titolo "The travel". I film in proiezione sono:


Venerdì 15 marzo: Into the wild – Nelle terre selvagge, di Sean Penn
Mercoledì 27 marzo: Il treno per il Darjeeling, di Wes Anderson
Venerdì 5 aprile: Sideways . In viaggio con Jack, di Alexander Payne
Venerdì 3 maggio: Cosa piove dal cielo, di Sebastián Borensztein
Venerdì 17 maggio: I viaggi  della motocicletta, di  Walter Salles


PRESENTAZIONE

Presentiamo questa seconda edizione della rassegna di film di qualità dedicata quest’anno al tema del viaggio. Lo facciamo nel trentesimo Anno Accademico dell’Università della Terza Età di Chivasso, con la sperimentata collaborazione con ARCI Zeta e la consulenza dell’AIACE di Torino. Il tema del viaggio è alle radici della nostra civiltà. Si pensi alle peripezie avventurose di Ulisse o al tortuoso peregrinare di Enea e dei suoi profughi troiani, solo per citare due pilastri della letteratura e della cultura occidentale. Per questo, in occasione della seconda rassegna cinematografica voluta dall' Unitrè di Chivasso in collaborazione con l' Aiace, abbiamo voluto nel palinsesto cinque titoli che il tema del viaggio lo squadrano da ogni punto di vista: epico-avventuroso nel caso de "I diari della motocicletta", esistenziale ed etico nel caso del bellissimo e dolente "Into the wild", solo per citare due esempi della rassegna. La quale vuole dare l'opportunità ai cittadini del territorio, che vive purtroppo una profonda crisi nell'offerta cinematografica di buon livello, di poter godere di film che non hanno battuto alcun record d'incasso al botteghino ma che sicuramente danno, del tema in oggetto, una visione originale e mai
scontata.

Allora buona visione a tutti!

Mario Marino
Direttore Artistico






Venerdì 15 marzo – Ore 20,30
Into the wild – Nelle terre selvagge di Sean Penn
(USA, 2007)
Con Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt (148’)

La vera storia di Christopher McCandless, giovane studente e atleta che dopo
aver conseguito la laurea alla Emory University di Atlanta nel 1992, decide
di abbandonare ogni cosa per andare a vivere tra i ghiacci dell'Alaska. Il
ragazzo cambia il nome in Alex Supertramp e intraprende un viaggio in cui
il tentativo di de-evolversi da soggetto-consumatore a individuo naturale
viene vissuto fino alle estreme conseguenze. Diretto e scritto da Sean Penn
sulla scorta di un libro biografico di Jon Krakauer basato su un articolo
dello stesso Krakauer intitolato Morte di un innocente, Into the wild – Nelle
terre selvagge e’ il racconto di un mito esistenziale tramutato in ossessione.
Mettendo in scena bellezza assoluta e tentativo di parteciparne il regista
riesce a comunicare con chiarezza l’irriducibile attrazione del londoniano
richiamo. Il monito che ne consegue appare credibile poiche’ frutto di un
gioco di rappresentazione leale. Da segnalare fra gli interpreti di contorno
Kristen Stewart, Vince Vaughn, Catherine Keener e Hal Holbrook. Due
nomination agli Oscar per il montaggio di Jay Cassidy e l’interpretazione
di Hal Holbrook, e un Golden Globe vinto per la migliore canzone
originale, Guaranteed, scritta e interpretata (come il resto della colonna
sonora, anch’essa candidata ai Golden Globe) dal frontman dei Pearl Jam,
Eddie Vedder. Il film viene presentato come primo capitolo di un ciclo in
quattro parti denominato “Americana” e dedicato a quattro pellicole-
emblema della nuova cinematografia USA.

Mercoledì 27 marzo ore 20,30
Il treno per il Darjeeling (2007), di Wes Anderson.
Con Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman,
Anjelica Huston, Amara Karan (91’)

India. Un malinconico uomo di mezza età scende frettolosamente da un taxi
e insegue un treno in partenza. Durante la corsa si accosta a lui un individuo
allampanato, più giovane, che gli lancia un'occhiata fugace e lo supera
riuscendo a salire al volo sul treno. Da questa pittoresca corsa al ralenti
inizia il viaggio del "Darjeeling Limited", lo sgangherato convoglio che
ospita i tre fratelli Whitman durante il loro tragicomico viaggio indiano.
Dopo uno sguardo di rammarico verso l'uomo rimasto a terra, Peter (Adrien
Brody), fuggito di casa un mese prima della nascita di suo figlio, raggiunge
infatti i due fratelli in un colorato scompartimento, dopo un anno di silenzio
seguito alla morte del padre: Francis (Owen Wilson), il maggiore, è la mente
che ha ideato il viaggio dopo un brutto ma illuminante incidente stradale di
cui porta ancora i segni sul corpo (in particolare sul viso, perennemente
avvolto da bende), mentre Jack (Jason Schwartzman), il minore, è un buffo
aspirante scrittore col cuore a pezzi, di ritorno da un prolungato, ozioso
soggiorno parigino in un hotel di lusso (l'Hotel Chevalier che dà il titolo al
cortometraggio con Natalie Portman, ideale prologo del film).
Un viaggio in un'India colorata e pittoresca, autentica (drammatica perfino) e
surreale al tempo stesso, si trasforma nell'ennesimo confronto familiare
all'interno del cinema di Wes Anderson: tre fratelli immaturi, aristocratici e
dispettosi (un po' come i capricciosi fratelli Tenenbaum) si ritrovano a
distanza di tempo a fare i conti col presente, cercando di guardarsi dentro e
provando a confrontarsi con la figura genitoriale. Ma oltre al padre, figura da
sempre ingombrante nel cinema di Anderson, questa volta diventa
fondamentale il confronto dei tre fratelli con la figura materna (la sempre
raffinata Anjelica Huston, "mater familias" andersoniana fin dai tempi de I
Tenenbaum), diventata suora attivista e ciononostante madre immatura e
codarda. Significativa eccezione tra le donne forti e determinate dipinte da
Wes Anderson, costanti guide di uomini immaturi e poco affidabili.
Ancora una volta il regista texano d'adozione newyorkese si confronta con
una famiglia problematica e disfunzionale, affetta da una noia aristocratica e
da uno spleen salingeriano curato con gocce e pozioni indiane, shopping tra
spezie e serpenti velenosi, e fugaci rapporti sessuali consumati
frettolosamente nella toilette di un treno. Per la prima volta la sessualità si fa
spazio in maniera più esplicita tra i casti e pudichi sentimenti provati dai
teneri personaggi andersoniani: segno di un'avvenuta maturazione all'interno
del percorso di crescita del regista. Idealmente iniziato con la formazione
adolescenziale di Max Fischer in Rushmore, il viaggio esistenziale di Wes
Anderson prosegue, dopo Le avventure acquatiche di Steve Zissou, con un
altro viaggio, fisico ed emotivo, a bordo di un treno che è la versione
ferroviaria della Belafonte, la vecchia nave naif del team Zissou. Il treno per
il Darjeeling inizia là dove finiva I Tenenbaum, dopo la morte del padre, e
porta avanti l'elaborazione del lutto da parte dei figli con spirito comico e
funerario, una surreale commistione di dolore e divertimento degna di
Harold e Maude. Con spirito forse meno comico, emotivamente più
distaccato, ma sicuramente più maturo, Wes Anderson costruisce ancora una
volta un'opera personale ed eccentrica, facendosi aiutare per la prima volta
nella sceneggiatura da Jason Schwartzman (suo amico fin dai tempi di
Rushmore) e dal cugino Roman Coppola, per mettere in piedi un nostalgico
road movie familiare su tre fragili e vulnerabili uomini a zonzo. I capisaldi
del cinema di Anderson ci sono tutti: dall'eccentricità dei personaggi ai
colori accesi delle scenografie, fino al corredo sonoro anni '70 (i Kinks, i
Rolling Stones), supervisionato ancora una volta da Randall Poster. Ma il
suo meticoloso perfezionismo visivo, a tratti quasi maniacale, pur non
mancando di raffinati dettagli scenografici a bordo del treno - dai costumi
della brava Milena Canonero alla boccetta retrò di "Voltaire n. 5", fino ad
arrivare all'onnipresente set di valigie (disegnate da Marc Jacobs per Louis
Vuitton e ornate dai disegni naif del fratello Eric Anderson, già illustratore
della camera di Richie Tenenbaum) - lascia spazio a una fotografia più
autentica del reale paesaggio indiano, fotografato da Robert Yeoman nella
sua imprevedibile e imperfetta naturalezza. Altro segnale di crescita nel
mondo ovattato e perfezionistico solitamente dipinto dal regista, un mondo
di teneri, viziati antieroi che alla fine del loro peregrinare, fanno sempre un
passo in avanti. Proprio come i tre fratelli Whitman, che concludono il loro
viaggio circolare così come è iniziato, aprendosi però all'imprevedibilità
della vita liberi del simbolico fardello delle valigie. Ancora una volta a bordo
di un treno in corsa. Un treno che può perdersi pur viaggiando su dei binari.

Venerdì 5 aprile – ore 20,30
Sideways - In viaggio con Jack, di Alexander Payne.
Con Paul Giamatti, Virginia Madsen, Sandra Oh, Marylouise
Burke, Jessica Hecht. (124’)

Le vie del vino sono infinite, ma anche profumate, gustose, limpide come il
cristallo di un balloon. Il gusto di queste emozioni, hanno dato vita a un film,
un road movie, dove l'amicizia fra due uomini di mezza età, è la dolceamara
riflessione sul continuare a essere dei "novelli" giovani o apprezzare i piaceri
della maturità, dell'invecchiamento. Jack (Thomas Haden Church) è un
attore di soap opera in procinto di sposarsi. Il suo migliore amico Miles
(Paul Giamatti), bruttino, dolorosamente divorziato da due anni, e
scrittore non proprio di successo, decide di fargli un regalo speciale.Una
settimana sulle strade del vino della California, per un piacevole e intenso
addio al celibato fra calici di nettare e campi da golf. Incontreranno anche
l'amore, e Miles conoscerà Maya (Virginia Madsen), che, come lui, vive
per la gioia di una buona bottiglia. Ironico e riflessivo, il film di
Alexander Payne, delinea i personaggi, le loro forze, le loro debolezze, e
le mette in parallelo al vino, alle modalità dell'invecchiamento, di
conservazione, di degustazione. I sette giorni che Miles e Jack trascorrono
insieme sono il percorso di crescita di due uomini, profondamente diversi
fra loro, ma legati da un'amicizia ventennale. La cultura di Miles, espressa
da un irresistibile Paul Giamatti (le sue battute scandiscono il film), si
scontra con l'istinto animale e grezzo di Jack. E le donne per loro vanno di
pari passo con il vino. Per lo scrittore devono essere rare e uniche (come
la ex-moglie), da apprezzare e da sorseggiare nella loro maturità; per il
belloccio divo da soap opera, devono avere l'immediata esplosività di un
"frizzantino". Sideways,lento Nella apertura, ironico nel suo incedere,
prende vita attimo dopo attimo (verrebbe da dire, sorso dopo sorso),
quando le vineyards californiane e le cantine illuminano la scena. E' la
sottile magia di un film, che realmente va lasciato decantare, per
apprezzarne le qualità. Come dice Maya, in uno dei momenti più intensi
del film, il vino è vivo, come ognuno di noi. Nasce, cresce e raggiunge la
maturità. In quel momento, ha un gusto fantastico.

Venerdì 3 maggio ore 20,30
Cosa piove dal cielo? di Sebastián Borensztein. Con
Ricardo Darín, Huang Sheng Huang, Muriel Santa Ana,
Enric Rodriguez, Ivan Romanelli. (93’)

Roberto è un burbero proprietario di un negozio di ferramenta a Buenos
Aires. Nella sua vita, ogni giorno è meticolosamente uguale all'altro e di
questa routine ha fatto una rude corazza per restare isolato dal mondo
esterno e dalle assurde richieste della sua clientela. Unici capricci di
questa burbera esistenza sono la costante ricerca di notizie bizzarre e
incredibili sui quotidiani mondiali e le visite di Mari, un'amica di
campagna da sempre innamorata di lui. Un giorno, proprio di fronte al suo
negozio, viene scaraventato fuori da un taxi un giovane cinese. Il ragazzo
non parla una parola di spagnolo ma ha un indirizzo scritto sul braccio che
li porta a un alimentari un tempo gestito da suo zio. Roberto chiede allora
aiuto all'ambasciata cinese, dove gli annunciano che per tutto il tempo
necessario a ritrovare lo zio disperso, il giovane resterà sotto la sua tutela.
Come partorito da un destino stravagante, Cosa piove dal cielo? si
presenta come un classico "Canto di Natale" dickensiano contaminato
dalla comicità da cartoon e dalle fantasie bizzarre di Jean-Pierre Jeunet. Il
protagonista Roberto è infatti un moderno Scrooge pronto a redimersi non
di fronte alle visite dei fantasmi natalizi ma di quella altrettanto
fantasmatica di un ragazzo cinese sopravvissuto a una mucca caduta dal
cielo; così come la sua passione per le storie assurde e surreali ricorda
molto da vicino gli aneddoti che entusiasmavano la giovane Amélie
Poulain. Malgrado le notevoli differenze che dividono i profili delle due
città e i caratteri dei relativi protagonisti, la Buenos Aires di Borensztein
finisce col somigliare alla Parigi di Jeunet in funzione di un viraggio
vagamente vintage che rende fuori dal tempo le proprie immagini, e di
quel tono "favoloso" e dolce-amaro che fa dell'elemento surreale e
grottesco il collante umoristico per portare avanti storie di personaggi soli
e singolari. Incupito dai fantasmi della guerra delle Falkland, il Roberto di
Cosa piove dal cielo? fa vagare attorno a sé molti meno personaggi
satellitari rispetto alla più giovane e radiosa cugina di Montmartre. Ma,
pur demandando all'inevitabile ilarità di una "strana coppia" formata da
un burbero argentino e da un cinese sfortunato l'energia comica della sua
parabola di socializzazione, al cuore della storia resta la stessa schietta
filosofia prevertiana che vede che in quei casi senza senso della vita ciò
che dà un senso a tutto il resto. In questo modo, Borensztein lascia tutto in
balia di qualche esilarante paradosso e nelle mani e nel volto rugoso di
Ricardo Darín. Fra i due è senza dubbio lo straordinario misantropo ad
elevare il film dall'essere qualcosa di più di una simpatica boutade dalle
velleità surrealiste. Il resto, mucche volanti, barbieri assassini o amanti
dalle vetture troppo ristrette, sono per lo più gli imprevedibili incastri del
caso che fungono da ameni inserti in un racconto prevedibile.

Venerdì 17 maggio ore 20,30
I diari della motocicletta, di Walter Salles. Con
Gael García Bernal, Mercedes Morán, Jean Pierre Noher,
Mia Maestro (124’)

1952. Due giovani studenti universitari, Alberto Granado ed Ernesto
Guevara partono per un viaggio in moto che li deve portare ad
attraversare diversi paesi del continente latinoamericano. Quella che
doveva essere un'avventura giovanile si trasforma progressivamente nella
presa di coscienza della condizione di indigenza in cui versa gran parte
della popolazione. Quel viaggio cambiera' nel profondo i due uomini. Uno
di loro diventera' il mitico "Che" mentre l'altro, ancora vivente, e' medico
a Cuba. Uno degli applausi piu' lunghi alla proiezione stampa di Cannes
2004. Perche' tutti i giornalisti presenti sono 'comunisti'? Sicuramente no.
Perche' credono che Castro sia solo un benefattore dell'umanita'? Ancora
una volta la risposta e' no. Allora perche'? Perche' di fronte a un cinema o
sempre piu' plastificato o sempre piu' povero di idee, un film che propone
la gioventu' come 'luogo' in cui scoprire dei valori personali e decidere di
impegnarsi per degli ideali, risponde a un bisogno profondo. Due studenti
che non si fanno di droga, che non rubano, che non scopano ogni ragazza
che incontrano ma che si mettono in viaggio come spericolati turisti e si
trovano alla fine 'uomini' perche'cambiati dentro fanno pensare che
l'utopia (pur con tutte le sue possibili distorsioni nel momento in cui entra
in gioco il potere) non puo' morire. Una bella lezione 'morale' senza
moralismi ne' agiografie.



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